“Don Pino Puglisi non avrebbe fatto paura ad una mosca, era mansueto, eppure la mafia lo temeva e lo ha ucciso”. Questa una delle testimonianze portate a Catania – durante il 3° appuntamento “Legalità e Basket” promosso dall’avvocato Riccardo Trovato – da Rosaria Cascio autrice insieme a Salvo Ognibene del libro “Il primo martire di mafia. L’eredità di Don Pino Puglisi”. La donna, oggi docente e divulgatrice del metodo Puglisi, ha vissuto l’azione del Beato palermitano fino all’assassinio avvenuto nel 1993.
Il metodo utilizzato del parroco di Brancaccio, ucciso da Cosa Nostra il giorno del suo 56° compleanno, orientato a restituire speranza alle vite dei bambini che popolavano il quartiere era semplice quanto efficace. Riportarli allo stato d’infanzia attraverso il gioco e il rispetto delle regole, per combattere la condizione di anaffettività, omertà e necessità di aggregarsi troppo presto alla pratica illegale sotto costrizione delle famiglie.
“Dal bene nasce il bene. Don Pino Puglisi era riuscito a far capire questo”, ha spiegato Cascio all’interno dell’aula magna dell’istituto “Boggio Lera” di Catania, sede dell’evento. La semplicità dell’azione del prete era stata raccontata dagli stessi boss detenuti in carcere, incredibilmente impauriti dall’eventualità che Don Pino Puglisi riuscisse nello spodestarli dalla leadership nel quartiere.
Secondo la mafia “Puglisi voleva diventare il boss di Brancaccio” e così fu ucciso utilizzando una pistola calibro 765, arma efficace solo a distanza ravvicinata. La mafia sapeva infatti che Don Pino Puglisi era facilmente avvicinabile, per questo fu assassinato sotto la porta di casa. “Me l’aspettavo”, sono state le ultime parole del presbitero siciliano beatificato nel 2013 al Foro Italico di Roma.
Da Catania Rosaria Cascio ha posto un interrogativo simbolico importante: “Quanti sarebbero in grado oggi di giungere in fondo alla propria missione, come ha fatto Don Puglisi, sapendo quanto fosse pericoloso gestire la crescita di quei “semi di legalità” sparsi in un quartiere come Brancaccio, dove quella parola era un tabù?”.
Al termine della testimonianza portata dalla docente palermitana ha preso la parola Giovanni Russo, direttore marketing della Betaland Capo d’Orlando. “Basket e legalità possono sembrare anni luce lontani, ma non è così – ha dichiarato il dirigente -. Ho spinto fortemente il mio club a sposare il progetto “Orlandina Academy” perché crediamo che un uomo debba essere educato non solo allo sport, ma anche alla legalità. L’Orlandina esce così dal palazzetto per parlare ai più giovani e per portare avanti un progetto etico-sportivo importante. Abbiamo un pubblico che va dai 25 anni in su, mancano i ragazzi, ci siamo accorti di questo e vogliamo invertire il trend. Mi piace richiamare una citazione di Nelson Mandela – ha dichiarato Russo – che attribuisce allo sport il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza, dove prima c’è disperazione. Credo che adottando queste parole e solo così la mission di Orlandina Academy riesca a collegarsi strettamente all’azione di Don Pino Puglisi”.